Vi abbiamo parlato più volte nei mesi scorsi delle condizioni di lavoro denunciate dal personale sanitario impiegato al Mater Dei, costantemente soggetto a turni massacranti a causa della carenza di forza lavoro e continue dimissioni. Una situazione sottolineata più volte anche dal sindacato degli infermieri ed ostetriche maltesi (MUMN), che in diverse occasioni si è scontrato con il Ministero della Salute nel tentativo di trovare soluzioni che non mettano a disagio sia i pazienti che gli operatori, dopo i numerosi scioperi indetti nei mesi scorsi, finiti persino nelle aule di tribunale.
A testimonianza del clima di tensione e difficoltà sopracitato, riceviamo e pubblichiamo le parole di un nostro lettore, un giovane papà italiano, che ha vissuto per due settimane la realtà del reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale Mater Dei.
Il contenuto di questo articolo è frutto della sua esperienza personale e non di un’inchiesta del Corriere di Malta, che declina ogni responsabilità per eventuali dichiarazioni non corrispondenti alla realtà dei fatti.
È la mattina di venerdì 15 luglio, e per M.D.V. inizieranno i 16 giorni più brutti della sua vita.
Sono le 6 quando la sua compagna entra in travaglio. Ma qualcosa non va: «Fin da subito le acque erano tinte di meconio e le contrazioni molto forti. Abbiamo quindi preferito chiamare la sala travaglio dell’ospedale Mater Dei e mezz’ora dopo eravamo già al Green ward del nosocomio».
Dopo circa due ore e mezza il bambino nasce, ma non tutto va per il verso giusto, come racconta ancora il neo papà: «Mio figlio viene dato in braccio alla mia compagna, ma pochi secondi dopo una delle ostetriche lo riprende: a causa del meconio ha bisogno di essere sottoposto a un’aspirazione. Circa 10 minuti dopo una dottoressa ci informa che i livelli di ossigeno sono bassi e che il bambino deve essere portato in terapia intensiva».
Il piccolo rimarrà intubato per 3 giorni, con un polmone collassato. Successivamente verrà aiutato a respirare con un flow di ossigeno attaccato al naso, per poi essere dimesso il 30 luglio.
Per M.D.V. e la sua compagna è il lieto fine di una storia iniziata sotto i peggiori auspici. All’uomo però rimangono impresse le condizioni in cui il personale del reparto è costretto a lavorare: «L’equipe medica ha fatto un lavoro eccezionale e non smetterò mai di essere riconoscente verso chi ha salvato mio figlio. Queste persone però lavorano a ritmi alla lunga insostenibili per chiunque. Nei giorni in cui mio figlio era ricoverato, in terapia intensiva neonatale c’erano circa 26 bambini, e appena 5 o 6 unità di personale. Quando andava bene erano in 8».
Parlando con alcuni dipendenti dell’ospedale, M.D.V. viene a conoscenza di una realtà preoccupante.
«Mi hanno detto che fanno turni massacranti, fino a 12 ore al giorno senza pausa. Qualcuno a volte rimane anche oltre, e in molti rinunciano alle ferie per non mettere ancora più in affanno il reparto. Da quel che mi hanno detto il problema risiede nella scarsità di personale. A quanto pare gli stipendi non sono bassi, si preferisce però trovare lavoro in cliniche private e in altre realtà mediche meno caotiche, a parità di retribuzione. Anche i medici sarebbero un problema. Nell’ospedale ci sono diversi dottori indiani, bravissimi in chirurgia e molto affidabili, ma a quanto pare non adatti a gestire i pazienti neonatali».
Il lettore riferisce inoltre diverse dichiarazioni fatte dal personale dell’ospedale, sempre riguardo i problemi legati al reparto.
«Con l’inseminazione artificiale vengono fecondate circa 6 o 7 donne per volta, alzando così il numero di parti nello stesso periodo. Questo tipo di gravidanze sono inoltre più a rischio. Molti bambini nascono prematuri e hanno quindi bisogno di più attenzioni. Inoltre con la fecondazione artificiale aumenta la possibilità di un parto gemellare, cosa che porta ancora più pressione al reparto. Anche per questi motivi ci sono così tanti neonati ricoverati».
«Stiamo facendo i miracoli qui dentro, con così poco personale. È un miracolo che non sia ancora successo nulla di brutto. Lavorando a questi ritmi la stanchezza prima o poi causerà l’errore umano».
E poi ancora: «A volte vengono lasciati scoperti altri reparti, arrivando anche a rimandare appuntamenti e operazioni minori per venire a coprire le emergenze in terapia intensiva. Siamo sempre in pochi, in relazione al numero di piccoli pazienti. Non possiamo continuare in queste condizioni e con questi ritmi».
M.D.V. conclude ribadendo di non nutrire alcun rancore nei confronti del personale sanitario. Al contrario, lancia un appello affinché le loro condizioni lavorative migliorino: «Lo ripeto, ci hanno trattato tutti benissimo e hanno fatto un lavoro straordinario con nostro figlio. Ma non possono continuare a lavorare in quelle condizioni. Qualcuno deve fare qualcosa. Prima o poi succederà qualcosa di grave, se le cose non cambiano. Ringrazio davvero che per noi tutto sia andato bene, nonostante le condizioni di nostro figlio e la carenza di personale. Ma nessun genitore merita di avere problemi a causa delle mancanze dell’ospedale, tantomeno i lavoratori di arrivare sfiniti a fine turno».
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