Una protesta giudiziaria volta a modificare le attuali leggi sull’aborto a Malta è stata presentata ieri, lunedì 27 giugno, presso i tribunali di Valletta.
Il documento, sottoscritto da 135 medici e professionisti sanitari, fa eco alla recente vicenda rimbalzata su tutti i media internazionali, che ha visto coinvolta Andrea Prudente, la turista statunitense incinta di sedici settimane che, a seguito di un aborto spontaneo, dopo il rifiuto degli ospedali maltesi, ha dovuto essere trasportata in aereo in Spagna per interrompere la gravidanza che avrebbe messo a rischio la sua vita.
La denuncia, presentata contro il Primo Ministro, il ministro della Salute, il segretario parlamentare per le Riforme e l’Uguaglianza di Malta e l’Avvocato di Stato, afferma che il divieto di aborto nel Paese criminalizza non solo le donne che necessitano di interrompere la gravidanza, soggette ora fino a tre anni di reclusione, ma anche i medici che lo praticano, impattando sul loro Codice Etico.
I firmatari, difatti, chiedono la rimozione dell’articolo 243 dal Codice Penale maltese, che prevede il ritiro della licenza per esercitare la professione e la reclusione fino a quattro anni per chi pratica l’aborto.
La dottoressa Isabel Stabile, promotrice della protesta, ha affermato che il “calvario” vissuto da Andrea Prudente viene solitamente affrontato ogni anno almeno da due o tre donne a Malta.
Stabile ha inoltre sottolineato che «la maggior parte delle donne maltesi non dispone di un’assicurazione privata che consenta loro di cercare aiuto all’estero. Per questo si trovano a rischiare la vita “inutilmente” a causa di gravidanze che comunque non avranno mai un lieto fine».
I 135 medici ritengono che casi come quello di Prudente non solo comportino danni alla salute fisica della donna, ma abbiano anche effetti sulla loro salute mentale e sul diritto alla vita e alla salute. Infine, la protesta si è posta come obiettivo quello di introdurre nuove regole che consentano ai medici e professionisti di fornire assistenza immediata nei casi in cui si verifichino complicazioni durante la gravidanza.
«Le nostre responsabilità nei confronti dei nostri pazienti ci richiedono di cercare di trattare i problemi prima che diventino instabili e pericolosi per la loro vita, pertanto la mancanza di protezione e di accesso alle cure mediche è inaccettabile e costituisce una violazione dei diritti umani fondamentali delle donne», conclude il documento.