“Gli effetti della pandemia COVID-19. Religione e spiritualità in un tempo difficile” è il titolo di uno studio condotto dalla Facoltà teologica dell’Università di Malta per esplorare gli effetti della pandemia sulla “vita, la fede e il senso della vita” per i maltesi durante i mesi scorsi.
L’analisi, appena pubblicata e ripresa dal sito agensir.it, si basa su un sondaggio a cui hanno partecipato 1102 persone, di cui il 65% donne e 35% uomini, l’88% cattolici e 11% senza religione.
Dalle risposte al questionario che era stato proposto, emerge che «la religiosità è aumentata con l’inizio della pandemia, sebbene nessuno degli intervistati ha attribuito al COVID un’interpretazione apocalittica e da fine del mondo».
Soprattutto tra gli over 30 la preghiera è stata «una fonte di consolazione»; per queste persone «le chiese e le celebrazioni pubbliche non sono diventate superflue». Le chiese continuano a essere un tratto della loro identità religiosa.
Tra i più giovani invece la fede ha fatto differenza solo per il 28% degli intervistati. Il 74% degli under 30 non si è sentita legata alla comunità parrocchiale e il 63% non ha sentito la mancanza della comunità; per il 57% gli edifici ecclesiali sono diventati superflui ed è solo il 31% che ha sentito la mancanza della messa.
Rispetto all’intenzione di tornare alle celebrazioni con la riapertura delle chiese, il 44% ha risposto che intende partecipare (32% il dato tra gli under 30), il 19% ne farà a meno, il 9% lo farà solo on line.
Paul Galea, uno degli autori dello studio, ha commentato i risultati dell’indagine: «Una lente su come la comunità locale si è comportata e ha affrontato una situazione senza precedenti, una grande opportunità per pianificare una migliore offerta di assistenza spirituale in una futura situazione di disagio».