È stato raggiunto l’ennesimo accordo ad hoc sullo sbarco e redistribuzione delle 40 persone a bordo della Alan Kurdi, dopo lo stop dell’Italia. Il premier Muscat: «gesto di buona volontà e buon senso, ma nessuno di loro resterà a Malta».
Mentre i 161 della Open Arms restano in attesa di un porto sicuro dove poter completare il salvataggio delle persone soccorse, è stato invece raggiunto l’accordo per lo sbarco e redistribuzione dei 40 della Alan Kurdi, imbarcazione della Ong tedesca Sea-Eye.
Dopo l’ennesimo stallo in mare creatosi in seguito alla cosiddetta “politica dei porti chiusi” dell’Italia, il governo maltese, pur non concedendo l’ingresso nelle sue acque territoriali, ha autorizzato il trasbordo dei migranti sui mezzi della propria Guardia Costiera per lo sbarco.
Il premier Joseph Muscat ha tenuto a ribadire come Malta, secondo il diritto internazionale, non avesse alcun obbligo in proposito, ma che l’accordo raggiunto in seno all’UE per sbloccare l’impasse sia un “segno di buona volontà”, sentendo la “responsabilità di lavorare insieme”.
Lo stesso primo ministro maltese ha poi aggiunto, marcando una netta differenza con la politica portata avanti in Italia da Matteo Salvini, che lavorare con gli altri Paesi UE per salvare vite umane “è una questione di buon senso”.
Al netto dei proclami dei due Paesi, giustamente impegnati nel chiedere congiuntamente un cambio nelle politiche migratorie europee, Malta e Italia sembrano adottare in realtà un approccio molto differente nei confronti dell’UE.
Come recentemente riportato dal Washington Post, la chiusura dell’Italia ha costretto Malta ad un dilemma morale e politico: seguire la politica dei “porti chiusi” dei vicini pur con il rischio di isolarsi in UE, oppure assumere un ruolo più centrale dialogando con i partner europei e permettendo gli sbarchi?
Nonostante la complessità della situazione creatasi, la risposta maltese al dilemma sembra delinearsi in maniera sempre più chiara, uno di quei casi in cui la forma diventa sostanza, come spesso avviene nelle questioni diplomatiche.
Pur condividendo con l’Italia, per ovvie ragioni geografiche, l’esposizione al fenomeno migratorio nel Mediterraneo centrale, Malta ha continuato a perseguire con determinazione il dialogo, sia con l’Unione Europea che con il governo italiano, anche quando quest’ultimo la accusava di non fare abbastanza.
In questo modo, evitando i toni duri usati dall’Italia ma perseguendo gli stessi obiettivi, la piccola Malta ha assunto un ruolo determinante agli occhi dei partner UE nel risolvere il susseguirsi di stalli in mare, guadagnandosi dei crediti che ha già iniziato ad usare, in primis ottenendo la condizione che lo sbarco debba essere seguito dalla immediata redistribuzione dei migranti.
Un approccio che, stando agli ultimi sviluppi, potrebbe risultare virtuoso per Malta, permettendo di partecipare attivamente ai salvataggi ma senza mettere ulteriormente sotto pressione la sua macchina dell’accoglienza, mentre in Italia i porti restano chiusi soltanto per le Ong, dato che la grande maggioranza dei migranti arriva tramite i cosiddetti “sbarchi fantasma“.
Una sorta di “modello maltese” quindi, che, in assenza di una risposta organica e sistemica a livello di istituzioni europee, rischia di diventare passo dopo passo il “modello europeo”, perlomeno fino a quando gli stati membri non troveranno un accordo in sede UE per superare il famigerato regolamento di Dublino.